IL PRETORE All'udienza dibattimentale del 9 ottobre 1996 nel procedimento penale a carico di Zanetti Franco imputato del reato p. e p. dall'art. 28, comma 3 legge n. 164/1992 perche', quale titolare dell'azienda agricola "La Mancina", produceva: a) hl 24 di vino Merlot dei Colli Bolognesi doc, annata 1992 (di cui vendeva hl 15,54 e deteneva per vendere i residui hl 8,46), risultato all'esame organolettico senza i requisiti richiesti per l'uso della denominazione, perche' interessato da "frizzantatura"; b) hl 28,85 di vino Sauvignon dei Colli Bolognesi doc, annata 1992 (di cui vendeva hl 5,75 e deteneva per vendere i residui hl 23,13) risultato all'esame organolettico senza i requisiti richiesti per l'uso della denominazione, perche' interessato da "presa di spuma"; c) hl 41,80 di vino Cabernet Sauvignon dei Colli Bolognesi doc, annata 1992 (di cui vendeva hl 30,34 e deteneva per vendere i residui hl 11,46), risultato all'esame organolettico senza i requisiti richiesti per l'uso della denominazione, perche' interessato da "frizzantatura". In Montebudello di Monteveglio, fino al 4 maggio 1994. ORDINANZA Il pretore di Bologna, nel procedimento penale a carico di Zanetti Franco, imputato della contravvenzione di cui all'art. 28, comma 3 legge n. 164/1992; ritenuto che la difesa ha richiesto di pronunciarsi in ordine all'ipotesi di non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dei suddetti artt. 10 e 28 comma 2 legge n. 164/1992 per la possibile violazione di questi articoli in riferimento agli articoli 3, 25, 27 secondo comma Cost., osserva quanto segue: i difensori di Franco Zanetti, opponente al decreto penale che lo ha condannato alla pena di lire 102 milioni e 250 mila di multa (ivi compresa la sostituzione della pena della reclusione di mesi uno ex art. 53 della legge 689/1981) per il reato p. e p. dagli artt. 10 e 28 comma 2, legge n. 164/1992 hanno sollevato questione di legittimita' costituzionale di tali disposizioni legislative sotto un triplice profilo. In riferimento all'articolo 25 Cost., evidenziando il conflitto con il principio di necessaria offensivita' del reato per avere imposto una limitazione al diritto fondamentale della liberta' personale (art. 13 Cost.) senza che tale sacrificio appaia correlato ad altro concreto interesse il cui rilievo esigesse una tutela penalistica. La normativa contestata (articoli 10 e 28 comma secondo legge citata) non consente di distinguere sul piano sanzionatorio violazioni afferenti elementi definiti fondanti del disciplinare di produzione dei vini doc da altri privi della significativita' minima necessaria a conferire al bene giuridico tutela penale. Nella fattispecie la esistenza o meno della cosiddetta frizzantatura (componente delle caratteristiche organolettiche variabile da un anno all'altro secondo gli esiti indeterminabili del processo produttivo agricolo) viene ad esempio omogeneizzata nei limiti minimi come pena edittale alla commercializzazione del prodotto di un vitigno non ricompreso tra quelli ammessi o proveniente da un territorio "non vocato alla qualita'" come, un po' enfaticamente, si esprime il legislatore (vedi articolo 10). In riferimento all'articolo 3 della Costituzione, in quanto, identificando il bene giuridico tutelato della correttezza commerciale conseguente alla particolare affidabilita' di un prodotto vinicolo, identificato con i criteri di qualita' imposti dalla legge, ritiene la disposizione di legge contestata confrontabile con la ipotesi normativa dell'articolo 516 codice penale (vendita di sostanze alimentari non genuine come genuine). Non puo' non convenirsi con la difesa sulla sostanziale identita' delle fattispecie in esame: sia che si intenda la genuinita' come non conformita' del prodotto al suo archetipo naturale sul piano chimico-organico, sia che la comparazione delle caratteristiche richieste avvenga con un modello legalmente disciplinato. E poiche' l'articolo 516 codice penale sanziona la sua violazione con la reclusione sino a sei mesi o con la multa fino a lire due milioni, mentre la norma impugnata stabilisce la pena congiunta della reclusione fino ad un anno e della multa da tre e diciotto milioni per ogni ettolitro o frazione di ettolitro prodotto, la difesa lamenta la lesione del principio di eguaglianza richiamando i principi da ultimo stabiliti dalla Corte costituzionale con le sentenze nn. 249/1993 e 254/1994 in tema di carenza di ragionevolezza. Rilevando, che, in presenza di una aggressione al medesimo oggetto giuridico e della identita', del fatto tipico, la sproporzione sanzionatoria e' ingiustificata. In effetti la eadem ratio non pare consentire una cosi' sensibilmente difforme dispositio. La specialita' della norma che consente l'aggravamento della pena (come nel precedente art. 515 codice penale, ove e' anche testualmente prevista) deve trovare fondamento in esigenze di piu' elevata tutela che costituiscono la sua ragione di essere e che quindi la legittimano, altrimenti e' destinata a infrangersi contro i gia' costituzionalmente affermati criteri di ragionevolezza. Nella fattispecie non era ravvisabile alcuna caratteristica del genere tutelato (certo non voluttuario, ma indubbiamente non riconducibile ai beni alimentari primari) o tanto meno dei suoi requisiti secondari di effervescenza che giustifichino un trattamento sanzionatorio piu' grave di quello previsto dall'art. 516 del codice penale. Osserva correttamente la difesa come vi sia contrasto anche con l'articolo 27 secondo comma della Costituzione, in ordine al corretto uso da parte del legislatore della discrezionalita' nella determinazione della pena che tenga conto dei citati principi di ragionevolezza e della sua finalita' rieducativa (sentenze nn. 409/1989, 313/1993, 343/1993, 442/1993, Corte costituzionale). Ed identifica il mancato bilanciamento degli interessi soprattutto nel confronto con l'articolo 76 del decreto del Presidente della Repubblica n. 162/1975 sulla sofisticazione dei vini che non solo pone accanto alla pena detentiva una sanzione pecuniaria di sole lire 500 mila ogni quintale, ma prevede e disciplina ipotesi di violazioni di lieve entita', sanzionandole in via alternativa e con pena pecuniaria ridotta di un quarto. Appare qui veramente evidente che la mancata previsione normativa di una ipotesi attenuata che consenta di adeguare la sanzione penale a una violazione che attenta soltanto ad una qualita' organolettica (di apprezzamento forse non elitario, ma certo secondario) si traduce in una arbitraria ed ingiustificata disparita' di trattamento rispetto a fattispecie che concernono procedimenti di adulterazione e manipolazione che configurano danni o pericoli di maggiore offensivita'